CAMMINARE CON I GIOVANI

Camminare con i giovani

Pietro Piro[1]

 

SOMMARIO: 1. Memorie di giovinezza; 2. Provare ad essere l’adulto che avrei voluto incontrare da giovane; 3. I giovani non esistono; 4. Sul carattere peculiare dei giovani d’oggi; 5. Problemi “nuovi” e problemi “vecchi” della condizione giovanile; 6. Il  consumo di crack; 7. Sull’urgenza di un sapere sinodale; 8. Educare a pensare con la propria testa; 9. Giovinezza del Vangelo; 10. Conclusioni.

 

I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. A noi adulti costa ascoltarli con pazienza, comprendere le loro inquietudini o le loro richieste, e imparare a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono.

Papa Francesco, Evangeli Gaudium, 105.

 

Carissimi Fratelli,

il breve preavviso con cui ho ricevuto questo invito alla vostra Assemblea,[2] mi permette solo di fare appena accenno ad alcuni argomenti. Tuttavia, ho accettato con enorme gioia questa opportunità, perché la ritengo una vera occasione di dialogo e di confronto. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto che oggi io fossi qui con voi.

Mi permetto anche, di ringraziare il nostro Arcivescovo Corrado Lorefice, al quale sono legato da sentimenti filiali. Oggi faccio memoria dei volti dei tanti giovani che ho incontrato in carcere, nei dormitori, nelle comunità di recupero e di accoglienza, nella scuola, nell’università, nei campi nomadi, nella Biblioteca e nelle strade del mondo. Essi sono vivi in me. Spero di essere vivo in loro.

 

  1. Memorie di giovinezza

Prima di entrare nello specifico del nostro tema, mi concedo un ricordo personale. Un ricordo di giovinezza. Nel 1999, quasi vent’enne, frequentavo il primo anno dell’Istituto di Scienze Religiose “Italo Mancini”[3] ad Urbino. Mancini era morto nel 1993 ma sua presenza era ubiquitaria. I suoi allievi si riferivano continuamente al suo magistero e i suoi testi erano spesso citati e ripresi. Fu attraverso Mancini che, per la prima volta, sentì parlare di Dietrich Bonhoeffer.[4] La vita all’Istituto era regolare e impegnativa. Il clima impegnato ma sereno.

Si alternavano lezioni ordinarie, seminari e incontri di studio. La mia giovinezza mi portava a considerare tutto quello che facevo come normale e quotidiano.

Era dunque normale per me sentire commentare San Paolo da Settimio Cipriani,[5] conversare di Islam con Khaled Fuad Allam,[6] ascoltare la voce rauca di Paolo De Benedetti[7] e le battute d’incredibile ironia e profondità di Reginald Gregoire.[8]

Fu all’Istituto che ebbi la fortuna di conoscere Aldo Natale Terrin[9] che, attraverso la storia delle religioni, mi permise di sperimentare direttamente la vita monastica in un monastero buddhista zen, di pubblicare il mio primo articolo,[10] di viaggiare insieme a Friburgo (fu la prima volta che misi piede fuori dall’Italia a venticinque anni).

In quegli anni, ero un giovane assetato di sapere, speranzoso, curioso. Ma anche fragile, insicuro, malfermo. Ogni mattina, incrociavo lo sguardo severo ed impassibile di quel cristiano critico[11] che fu Carlo Bo,[12] mentre attraversava i banchi di nebbia di Urbino con un impeccabile mantello nero, cappello e sigaro toscano.

In quegli anni di giovinezza, ebbi la fortuna di ascoltare decine di filosofi, teologi e storici delle religioni. Solo adesso, dopo vent’anni, mi rendo conto che in quella normalità,[13] in quel quotidiano e spicciolo susseguirsi delle ore consuete, non vi era nulla di normale. In realtà, si trattava di un ambiente culturale straordinario, con una densità che non ho mai più rivissuto.

È in quegli anni di giovinezza, che si è formato “lo zoccolo duro” della mia formazione religiosa. In quegli incontri straordinari e unici, in quell’ambiente di vita consueto e irripetibile.

  1. Provare ad essere l’adulto che avrei voluto incontrare da giovane

Perché vi racconto queste cose? Perchè sono convinto che se vogliamo accostarci ai giovani di oggi, dobbiamo necessariamente partire da un esercizio. Dobbiamo riportare alla memoria la nostra stessa giovinezza.

Chi abbiamo incontrato? Quali libri abbiamo letto? In quali ambienti culturali si è sviluppato il nostro pensiero? Sono certo che se facciamo questo esercizio, ci renderemo conto che se siamo qui – oggi – sé avete deciso di diventare presbiteri e diaconi, è perché durante la vostra giovinezza avete fatto degli incontri decisivi. Incontri che vi hanno permesso d’indirizzare il vostro cammino.

Ovviamente, non tutti gli incontri della giovinezza sono positivi. Anzi, probabilmente, abbiamo incontrato anche tanti adulti insensibili, violenti, conflittuali. Adulti che invece d’indirizzarci ci hanno confuso, ci hanno sviato, ci hanno fatto perdere slancio. Adulti che hanno provato ad annichilire la nostra Speranza. Io ne ho incontrati tanti. Purtroppo ne incontro tanti anche oggi.

Per questo motivo, proprio in base a questa grande differenza di qualità, noi oggi, grazie alla libertà che scorre nelle nostre vene, potremmo provare ad essere gli adulti che ci sarebbe piaciuto incontrare da giovani.  Mi rendo conto che non è facile. Tuttavia, se si supera un freddo conformismo, ognuno di noi può provare ad essere quell’adulto che sperava d’incontrare e che non ha mai incontrato, oppure, provare ad assomigliare a quei maestri che tanto bene ci hanno dato e per i quali, ancora oggi, proviamo un debito di gratitudine. Noi, potremmo, in uno sforzo di libertà che ci rende autonomi, provare ad essere profondamente noi stessi.[14] I giovani che ho conosciuto hanno un fiuto eccezionale nel riconoscere la differenza tra chi predica una morale e chi, invece, la incarna.[15]

In gioventù, c’era un tipo d’uomo che cercavo di evitare come la peste: l’avaro di parole e di sentimenti. Oggi cerco di essere un adulto accogliente, generoso nella parola e nei sentimenti. Solo il tempo sarà in grado di dire sé si tratta di una scelta efficace.

  1. I giovani non esistono

Nell’ottobre del 2019, scrissi una recensione al volume Che fine ha fatto il futuro? Giovani, politiche pubbliche, generazioni della sociologa Marina Pastropierro.[16]

In quell’occasione, scrivevo delle osservazioni che mi pare siano ancora attuali:

«Chiunque si sia occupato come “educatore” dei giovani conosce un segreto sconcertante: i giovani non esistono. Esiste Luca, Giorgio, Elisa, Marina, Lucia, persone diversissime, con storie e traiettorie a volte opposte. Certo, hanno qualcosa che li accomuna: hanno tutti un’età anagrafica simile e un marchio appiccicato addosso: giovani. Ogni persona è una singolarità significante unica, e non esistono due storie identiche. Ognuno è portatore di bisogni diversi, di richieste da fare alla cosa pubblica, sogni e ambizioni. Certo, ci sono delle similitudini, delle “tendenze generazionali” ma sono tutti parametri che perdono aderenza quando ascoltiamo una storia di vita e la inquadriamo nel vissuto. Parlare dunque di “giovani”, così come di “anziani”, o di “lavoratori” è sempre molto difficile, perché si rischia una generalizzazione che non aiuta a capire nella differenza, quale sia l’elemento comune, il nomos (inteso come consuetudine, costume) di una generazione».[17]

Sappiamo benissimo che esistono importanti differenze tra giovani appartenenti a famiglie benestanti e giovani di famiglie disagiate.  Così, come sappiamo che non possiamo adottare lo stesso atteggiamento con giovani che vengono da famiglie con vissuti conflittuali e giovani con famiglie unite. Esiste anche una notevole differenza tra giovani della città[18] e giovani della provincia. E poi, ancora, differenze tra i giovani della costa e quelli delle zone interne.[19] Ognuno di loro, affronta difficoltà diverse, ha ambizioni e progetti di vita differenti. Ogni generalizzazione è dunque fuorviante. Se ci concentriamo sulla relazione io-tu, emerge la singolarità, il carattere irripetibile della persona. In questa prospettiva, l’incontro è decisivo e la qualità della relazione è tutto. Tuttavia - pur riconoscendone i limiti - abbiamo anche bisogno di una prospettiva generalizzante che ci permetta di raggruppare alcune osservazioni che possono essere utili al nostro lavoro.

  1. Sul carattere peculiare dei giovani d’oggi

Mi sono sforzato di ricercare qualche aspetto che renda i cosiddetti giovani d’oggi,[20] diversi da quelli delle generazioni precedenti, facendo sempre attenzione al fatto che: «ogni generazione ha i suoi limiti e i suoi aspetti innovativi, i suoi slanci e le sue “ragnatele”».[21]

Mi pare che si possa dire che, per i nati dopo il duemila, l’unico elemento di sostanziale novità è il livello di esposizione all’ambiente tecnologico.[22] Nativi digitali,[23] vivono in un ambiente sociale pervaso dai media.[24] Non condivido la posizione di chi ritiene che i media siano solo degli strumenti neutri e che, tutto dipende dall’uso che se ne fa. Ritengo, invece, che i media tendono a stabilire una gerarchia di bisogni e sono capaci d’imprimere un carattere peculiare.[25] L’esposizione continua all’analisi algoritmica è in grado di modellare i desideri, indirizzare le scelte, suggerire idee e imporre prospettive di vita.[26]

Ritengo che oggi la principale agenzia educativa sia la Rete. È realistico ipotizzare che:

«I bambini dei paesi occidentali, già dai due anni di età, trascorrono di fronte allo schermo in media tre ore al giorno. Tra gli otto e i dodici anni, circa quattro ore e quarantacinque minuti. Tra i tredici e i diciotto, sfiorano le sei ore e quarantacinque. In un anno, vuol dire circa mille ore per un bambino della scuola materna (il che equivale alle ore di un intero anno scolastico), millesettecento ore per uno studente di quarta e quinta elementare (due anni scolastici), e duemilaquattrocento ore per uno studente delle scuole superiori (2,5 anni scolastici). Espresso come frazione corrisponde rispettivamente a un quarto, a un terzo e al quaranta per cento delle ore di veglia quotidiane».[27]

Cerchiamo di essere realisti.[28] Chi passa così tanto tempo in una relazione educativa con loro? Quali sono i rischi e le opportunità concrete di questa esposizione? Esiste una immensa letteratura scientifica su questo tema[29] e non è facile trovare un punto d’equilibrio tra posizioni estreme che vanno dalla tecnofobia[30] all’entusiasmo.[31] Credo sia molto difficile oggi fare un bilancio.[32]

La Pandemia ha esasperato “la vita digitale” dei nostri giovani e messo in evidenza il divario digitale esistente tra le famiglie[33] ma ha anche suggerito possibili scenari di sviluppo educativo.[34]

Oggi siamo in grado di proporre delle attività concrete che siano capaci di entusiasmare i giovani e li convincano ad integrare la vita digitale con quella “concreta”?

Ho detto integrare, non sostituire. Perché per il nativo digitale la distinzione tra “reale” e “virtuale” è del tutto fuorviante. Per i nati in un ambiente pervaso dai media, i “fatti” che accadono on-line, hanno un carattere di realtà molto importante e sono in grado d’indirizzare le scelte e i comportamenti.[35] Dobbiamo avere chiaro che, i media, strutturano la personalità profonda dei giovani[36] e sono parte costitutiva del loro immaginario.

A volte, ma non sempre, si tratta di un immaginario “colonizzato” da stili di consumo esasperato, dall’edonismo, dalla legge del più forte.

L’uso dei media influenza lo sviluppo affettivo,[37] lo stile relazionale,[38] le capacità di lettura dei “segni” del reale e la disponibilità al dialogo. Trasforma radicalmente i concetti di pubblico e di privato. Assistiamo a una rapida saturazione del tempo di attenzione e alla crescente difficoltà di facoltà critica ed esperienziale nel distinguere il vero dal falso. I giovani vivono tutte le conseguenze dell’iper-accelerazione dei tempi della vita[39] e sono spesso in preda all’ansia da prestazione (l’attacco di panico è diventata una esperienza diffusa).

Sarebbe anche necessaria una riflessione approfondita sul rapporto con la reperibilità sempre e ovunque («always on») e sui suoi effetti.[40]

Non voglio dilungarmi troppo su questo argomento, perché ritengo che se si vuole approfondire la relazione tra giovani e media, occorre dedicare il giusto tempo a questo approfondimento.[41]

Però, mi pare urgente dire questo: sé si vuole avere un contatto quotidiano con i giovani è opportuno aprire tutte le “porte” digitali possibili e stare attenti ai segnali che i giovani emettono in forme spesso crittate.

I segnali d’allarme sono raramente espliciti. L’educatore deve essere in grado di essere presente dove le cose succedono e, spessissimo, oggi, la maggior parte di ciò che interessa a un giovane avviene on-line.

Molti di noi, di fronte a questa fatica, si ritraggono indietro e si rifiutano di familiarizzare con questi ambienti digitali, lasciando uno spazio vuoto che facilmente viene colmato da altri. Credo che “non è mai troppo tardi” per aprire un canale di comunicazione con un giovane. Anche quando si tratta di scambiarsi degli emoticon in una chat virtuale.

È dunque urgente e necessario che gli educatori:

«sviluppino quella competenza digitale che consente di agire in maniera opportuna in Rete. Non si deve tuttavia confondere la competenza digitale con la velocità dei pollici sui tastierini e con l’abilità d’uso. Si deve invece riuscire a far fruttare l’abilità in situazione, nei contesti reali. In questo senso l’abilità tecnica non basta, ma deve essere accompagnata dalla capacità di entrare in relazione con gli altri comunicando correttamente. Da un punto di vista pedagogico, questo significa che […] non possono limitarsi a promuovere le competenze informatiche di base tra bambini e ragazzi, ma devono puntare a formarli in senso relazionale, sociale, affettivo ed etico».[42]

Condivido pienamente questa affermazione: «È necessario che tutti coloro che hanno il compito di insegnare si portino negli avamposti dell’incertezza del nostro tempo».[43]

  1. Problemi “nuovi” e problemi “vecchi” della condizione giovanile

La vita digitale dei giovani può generare tutta una serie di problemi di tipo nuovo (oltre ad offrire anche opportunità di crescita, di relazione, di approfondimento culturale). Faccio un piccolo elenco parziale e provvisorio:

  • Alto livello di esposizione a contenuti sessuali e pornografici;[44]
  • Scambio digitale di materiale sessualmente esplicito (sexting)[45] invio e ricezione di foto e video di natura sessuale consensuale o non desiderato e non consensuale;
  • Grooming (il rischio di adescamento all’interno del web);
  • Phubbing (“phone” e “snobbing”, atteggiamento non adeguato che porta gli individui a controllare continuamente il proprio telefono cellulare tralasciando le relazioni con gli amici);
  • Selfie killer (selfie in condizioni pericolose per ottenere più visibilità e consensi sui sociale network);
  • Cyberbullismo (l’uso dei dispositivi digitali con scopo di procurare gravi danni morali o all’immagine della persona presa di mira);[46]
  • Crisi d’ansia e depressione in seguito all’allontanamento forzato dall’uso di dispositivi;[47]
  • Fake profile (riproduzione di un’identità che non coincide con quella del soggetto nella vita “reale”);
  • Sindrome da ritiro sociale (hikikomori);
  • Perpetual contact (intolleranza per tempi vuoti e del ‘silenzio digitale’);
  • Extimacy (esteriorizzazione di tutto ciò che è intimo);
  • FOMO (fear of missing out). Paura di perdere qualcosa d’importante se non si resta in linea con gli aggiornamenti o si resta per qualche tempo sconnessi;
  • Dipendenza da giochi e scommesse (Gamification);

Mi fermo qui. Questo breve elenco serve, soprattutto, per aiutarci a comprendere come un nuovo ambiente di vita genera problemi nuovi di adattamento, nuove difficoltà e necessità nuove di aiuto e di relazione. Un’eccesiva velocità di trasformazione sociale può causare un vero e proprio disorientamento vertiginoso causato dall’arrivo prematuro del futuro. Così lo descrive Alvin Toffler nel suo libro Future Shock pubblicato nel 1970.

Sé vogliamo veramente camminare con i giovani, dobbiamo sapere quali sono “i demoni” che li tormentano e provare ad accompagnarli in questa lotta.

Ai problemi di “tipo nuovo” si sommano “vecchi problemi mai risolti”, che rendono la condizione giovanile - e in particolare quella del Sud - una fase della vita molto complessa e difficile. Anche questo è un elenco parziale e limitato:

  • La povertà educativa che limita - di fatto – lo sviluppo personale;
  • Un sistema scolastico “a macchia di leopardo” con punti di eccellenza ma anche con molte difficoltà e ritardi;
  • Difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro;
  • Mancanza di politiche di supporto alla genitorialità,
  • Emigrazione per motivi culturali o lavorativi;
  • Differenza di opportunità tra città e zone interne;
  • Consumo di droghe, di alcol, dipendenza dal gioco;
  • Conflitti del’identità sessuale;
  • Disaffezione dalla politica, dall’impegno sociale e religioso e conseguente ripiegamento nel privato:
  • Presenza massiccia di NEET[48] (Not in education, employment or training). La sigla indica quei giovani che non frequentano alcuna scuola, università né corso di formazione o aggiornamento professionale.

Tutti questi “vecchi problemi”, sono oggi ridefiniti dall’ambiente digitale, che mette in discussione le certezze acquisite, i confini, le basi su cui poggiano le nostre “vecchie” convinzioni.

  1. Il consumo di crack

Vorrei porre l’attenzione su una esperienza personale recente. Seguo, da diversi mesi, processi di orientamento in carcere. Quasi tutti i giovani che ho incontrato si trovano in carcere per reati legati al consumo di una droga che genera dipendenza quasi immediata e che è capace di abbattere ogni difesa morale: il crack.[49]

Una droga che costa poco e che si trova praticamente ovunque. Un mix micidiale che aumenta il rischio di esposizione al pericolo e che riguarda tutte le classi sociali.  

I giovani che ho incontrato mi hanno parlato di un potere di attrazione di questa droga fortissimo. Un potere “diabolico” che riguarda il senso profondo del desiderio di vita della persona. Persino dopo qualche anno di disintossicazione forzata continuano “a sognare il crack”. Ho conosciuto giovani che hanno commesso ogni genere di reato connesso all’uso di questa sostanza. Reati vili, inconcepibili rispetto alla “vita normale”. Reati che, loro stessi, considerano estranei alla loro stessa personalità antecedente all’inizio del consumo.

Siamo di fronte a un rischio mortale per i nostri giovani. È nostro compito aprire gli occhi di fronte a questo rischio e giocare d’anticipo. Il consumo di droghe deve essere un argomento continuo nelle nostre relazioni con i giovani.

Occorre, innanzitutto, informare e non dare per scontato che tutti sappiano quali siano le conseguenze dell’uso di una determinata sostanza. Ho verificato personalmente, come nelle scuole non ci sia abbastanza “cultura dell’uso delle droghe”. Si preferisce, a volte, rimediare ai danni piuttosto che anticipare. A me sembra un atteggiamento perdente.

Tolstoj nel 1890 scrisse un breve saggio dal titolo: Perché la gente si droga? Così scriveva:

«è impossibile non comprendere che l’uso di sostanze narcotiche, in grandi o piccole quantità, periodicamente o costantemente, nelle classi più alte come in quelle più basse, ha sempre la medesima causa: il bisogno di soffocare la voce della coscienza, così da non vedere il conflitto che vi è tra il proprio modo di vivere e le esigenze della coscienza».[50]

Noi non dobbiamo mai dimenticare che tutto ciò che avviene d’importante nella vita dell’individuo, avviene, primariamente nella sua coscienza e che, è compito nostro “influire positivamente” sulla coscienza dei giovani, provando ad offrire modelli di esistenza in grado di dare un senso al conflitto tra esigenze dell’Io e bisogni di solidarietà e compassione.

  1. Sull’urgenza di un sapere sinodale

Ritengo che se vogliamo occuparci dei giovani, abbiamo bisogno di nuovi strumenti. Credo che dobbiamo abbandonare lo stile di ricerca individuale (e anche questo tipo di conferenza) e dare avvio a una forma di sapere sinodale basato sulla comunione dei saperi. C’è una osservazione di Karl Ranher del 1986 che oggi mi pare attualissima:

«Oggi una teologia sistematica, come la si concepiva in passato, non può più essere il prodotto di una sola persona. […] Quello della sintesi perciò è un compito che oggi non può più essere svolto da un solo individuo».[51]

Una sintesi sul mondo giovanile deve essere condotta con specialisti di varie discipline che includa anche una buona rappresentanza di giovani appartenenti a diverse zone e di livello sociale differente.

Solo così potremmo raggiungere quella visione complessa che è necessaria per affrontare i problemi complessi. Ogni semplificazione, ogni individualismo, mi pare non riesca più ad afferrare il senso degli eventi.

Non dobbiamo più parlare dei giovani ma educarci a parlare con i giovani dei problemi dei giovani. È banale ma poi non lo facciamo. Continuiamo a proporre un modello che li esclude.

  1. Educare a pensare con la propria testa

Esiste una letteratura sociologica e psicologica sterminata sulla condizione giovanile.[52] Eppure, mi pare che alcune osservazioni di Romano Guardini siano ancora di straordinaria attualità. Parlando della giovinezza scrive:

«Il carattere fondamentale di questa forma di vita è determinato da due fattori. Uno è positivo: si tratta della capacità di crescita della personalità che si afferma e dello sviluppo di una dirompente vitalità; l’altro è negativo: è la mancanza di esperienza della realtà. […]. È anche il periodo nel quale emergono i tipici talenti precoci: si tratta spesso di capacità sorprendenti di intelletto, d’ingegno, di creatività artistica, di leadership, che sono d’incerta durata. […] Questo è il periodo nel quale, da un così forte senso dell’assoluto, scaturisce il coraggio di prendere decisioni da cui dipenderà la vita del giovane. Per esempio la scelta della professione. […] Il pericolo maggiore per il futuro uomo è il «si», cioè lo schema anonimo, sostenuto dai partiti, dai giornali, radio, cinema, che stabilisce come si dovrebbe pensare, giudicare, agire».[53]

Ecco, il problema più grande dell’educazione dei giovani: il rischio di allevare dei conformisti anonimi. Dei meri consumatori d’idee preconcette. Esecutori grigi di ordini.

Sé non ci svincoliamo da questa tendenza, non assisteremo a nessuna innovazione, a nessun rinnovamento. Non possiamo non essere vicini al pensiero di Guardini quando ci suggerisce quale sia il processo che dobbiamo favorire:

«il giovane deve imparare a pensare e a giudicare da solo; deve acquisire una sana diffidenza nei confronti delle ricette pronte, sia di tipo teorico si di tipo pratico. Deve affermarsi nella sua libertà».[54]

E noi, nelle nostre parrocchie, nei nostri gruppi giovanili, stiamo veramente educando i giovani a pensare con la propria testa, oppure, li stiamo convincendo a “sognare il sogno degli altri”?

  1. Osare la vita comune

Sé ritorno con la mente all’esempio di San Giovanni Bosco, di San Giovanni Calabria, di Don Milani, del Beato Puglisi e dei tanti cristiani che hanno dedicato la propria vita ai giovani – questi fratelli assenti, ma straordinariamente presenti in Cristo e in noi – essi hanno avuto il coraggio di vivere con i giovani.

Hanno osato sperimentare forme di vita comune con loro, condividendone le gioie e i turbamenti, le paure e gli slanci.

Hanno costruito con loro la “casa” dove abitare il futuro. Mi pare, che nelle loro opere, ci sia un insegnamento fondamentale per tutti noi: dobbiamo fare un pezzo di strada con i giovani, conoscerli veramente, come persone uniche e irripetibili.

Per fare questo, occorre costruire fisicamente le comunità che siano in grado di aiutarli a ricercare quelle risposte che stanno cercando. Comunità stabili, durevoli, solide. Comunità che siano capaci di resistere alle ondate di scoraggiamento e di delusione.[55]

Comunità che siano capaci di abilitare, di costruire saperi pratici e rafforzare l’uso dei sensi.[56] Paradossalmente, è solo costruendo la comunità[57] che insegniamo ai giovani la forza della solitudine, il coraggio della scelta individuale, la potenza della vocazione. «Beato chi è solo nella forza della comunione, beato chi mantiene la comunione nella forza della solitudine»[58] ha scritto Bonhoeffer.

  1. Giovinezza del Vangelo

 Noi cristiani abbiamo uno strumento eccezionale per riuscire a stabilire un dialogo fecondo con i giovani. Uno strumento che è capace di farci attingere a una “fonte di eterna giovinezza”. Questo strumento eccezionale si chiama Vangelo. Essere attinenti al Vangelo significa “mantenersi giovani”.

L’invito a “non preoccuparsi”[59] e a cercare le cose di lassù, ci rende giovani e capaci di stare con i giovani. L’invito a non accumulare,[60] a non attaccarci a ciò che è sfuggente, ci rende “leggeri e agili”.

Ogni analisi diversa, per quanto accurata e profonda, non riesce ad avere la capacità attrattiva e la forza prorompente del Vangelo.

È il Vangelo che può guidarci ancora nel tentativo di essere fecondi. Il rinnovamento che cerchiamo, la speranza che vorremmo trasmettere ai giovani, l’esempio che vorremmo essere per loro o si fonda sul Vangelo o non ha nessun “fondamento”.

Camminare con i giovani significa dunque, ora e sempre, camminare con Cristo seguendo i suoi passi.

È questo, in ultima analisi, il nostro segreto pedagogico, il nostro metodo, la nostra visione educativa.

Al giovane che, in preda all’angoscia, ci confessa le sue inquietudini, dobbiamo avere il coraggio di dire: «Dio ti ha fatto per sé e il tuo cuore sarà inquieto finché non riposi in lui».[61]

  1. Conclusioni

Provo a sintetizzare i punti che ho cercato di affrontare con voi in questa occasione benedetta: 

  • Riportare sempre alla memoria la nostra stessa giovinezza;
  • Provare ad essere quell’adulto che sperava d’incontrare e che non ha mai incontrato, oppure, provare ad assomigliare a quei maestri che tanto bene ci hanno dato;
  • Evitare di pensare per categorie e centrare la relazione sulla persona;
  • Aprire tutte le “porte” digitali possibili e stare attenti ai segnali che i giovani emettono in forme spesso crittate;
  • Conoscere i “problemi nuovi” e quelli “vecchi” legati alla condizione giovanile;
  • Porre attenzione sull’uso di sostanze stupefacenti e sulle dipendenze patologiche;
  • Adottare una forma di sapere sinodale basato sulla comunione dei saperi;
  • Cooperare con il giovane per raggiungere l’autonomia di pensiero;
  • Costruire con i giovani comunità stabili, durevoli, solide;
  • Mettere al centro il Vangelo per fondare la relazione con i giovani.

Spero che questi stimoli possano essere utili al lavoro gravosissimo che dobbiamo ancora fare. E proprio perché quello che ci attende è un lavoro decisivo, prendo commiato da voi con una carezza e un augurio che rivolgo ad ognuno di voi qui presente, fratello e amico in Cristo:

“Ora et labora et lege et noli contristari in laetitia pacis!”.

 

[1] Area Sociale e Formativa Opera Don Calabria. Per contatti Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

[2] Assemblea Diocesana del Clero, Casa Diocesana “Card. Pappalardo” Baida, Palermo 31 gennaio 2023.

[3] Mancini intendeva creare un Istituto che fosse: «una Comunità di Formazione e di Ricerca».

[4] A Italo Mancini (1925 –1993) si deve la conoscenza in Italia di alcuni importanti esponenti della teologia protestante contemporanea (K. Barth, R. Bultmann e D. Bonhoeffer).

[5] Settimio Cipriani (1919 – 2014). Sacerdote della Diocesi di Fiesole ed illustre biblista, professore e poi preside della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Predicatore radiotelevisivo, e collaboratore di Radio Vaticana.

[6] Khaled Fouad Allam (1955 –2015) sociologo e politico algerino. Docente d’Islamistica all’Università degli Studi di Urbino e Trieste.

[7] Paolo De Benedetti (1927 –2016) teologo e biblista italiano. Docente di Giudaismo presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano e di Antico Testamento agli Istituti di scienze religiose delle università di Urbino e Trento, curatore di prestigiose collane editoriali, è stato esponente di primo piano della cultura ebraica in Italia e protagonista del dialogo ebraico-cristiano.

[8] Réginald Grégoire (1935 - 2012) monaco benedettino belga, noto soprattutto per i suoi studi di agiologia.

[9] Terrin insegna Fenomenologia della religione presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova. Utilizzando un metodo di indagine comparativo e fenomenologico, nelle sue ricerche teologiche si è occupato dell’analisi di alcuni temi chiave (tra cui mistica, rito, salvezza, profezia, liturgia) delle religioni mondiali e dei nuovi movimenti religiosi, giungendo a sottolineare l’intreccio tra sfera del sacro e dimensione antropologica.

[10] Struttura e significato del silenzio nel rituale d'iniziazione pitagorico: il silenzio come morte rituale. - In Studia patavina, 2005. - a. 52, n. 1, p. 127-148.

[11] Potrebbe fare bene rileggere: C. Bo, Siamo ancora cristiani? Vallecchi, Firenze 1964.

[12] Carlo Bo (1911 –2001) è stato un ispanista, francesista, critico letterario e politico italiano. Considerato il maggiore studioso ispanista e francesista del Novecento in Italia, Carlo Bo fondò la Scuola per interpreti e traduttori nel 1951 e la IULM nel 1968, che oggi hanno sede principale a Milano, e a lui è intitolata l’Università degli Studi di Urbino.

[13] Ebbi persino l’opportunità di discutere animatamente di traduzione con Umberto Eco durante un convegno.

[14] Su quanto possa essere faticoso “essere se stessi”: A. Ehrenberg, La fatica di essere se stessi, Einaudi, Torino 1999.

[15] Ovvero di coloro che caricano gli uomini di pesi insopportabili e quei pesi non li toccano nemmeno con un dito! (Luca 11, 46).

[16] M. Mastropierro, Che fine ha fatto il futuro? Giovani, politiche pubbliche, generazioni, Ediesse, Roma 2019.

[17] https://www.vita.it/it/article/2019/10/10/che-fine-ha-fatto-il-futuro-giovani-politiche-pubbliche-generazioni/152929/

[18] Resta un contributo importante: Tumminelli, S. G., Cappello, G. M., Picone, M., Fulantelli, G., & D’Anneo, G. , Abitudini e stili di vita dei ragazzi e delle ragazze di Palermo, CESVOP PALERMO 2019.

[19] A. Membretti, S. Leone, S. Lucatelli (a cura di), Voglia di restare. Indagine sui giovani nell’Italia dei paesi, Donzelli, Roma 2023.

[20] Per una introduzione generale ai temi della condizione giovanile: Istituto Giuseppe Toniolo (a cura di);  La condizione giovanile in Italia. Rapporto giovani 2022, Il Mulino, Bologna 2022; L. Gorgolini, L. Gobbi (a cura di), Giovani e società in Italia tra XX e XXI secolo. Consumi, demografia, genere, istruzione, movimenti migratori, politica, Il Mulino, Bologna 2020; F. Del Pizzo, S. Leone, E. Sironi, Giovani del Sud. Limiti e risorse delle nuove generazioni nel Mezzogiorno d’Italia, Vita e Pensiero, Milano 2020; di L. Alfarano, T. Drazza, M. Tridente, Adolescenti H24. Identità, sessualità, social media, spiritualità, AVE, Roma 2021.

[21] F. Garelli, Presentazione della ricerca “giovani e scelte di vita” e conclusioni, in Giovani e scelte di vita. Prospettive educative. Atti del Congresso Internazionale (Roma, 20-23 Settembre 2018). Vol. 1: Relazioni. Las, Roma 2019, p. 199.

[22] Per una prima analisi di questo mondo: V. Codeluppi, Mondo digitale, Laterza, Roma-Bari 2022; E. Sadin, L’Io tiranno. La società digitale e la fine del mondo comune, Luiss University Press, Roma 2022; G. Ritzer, La McDonaldizzazione del mondo nella società digitale, Franco Angeli, Milano 2020; L. Floridi, Etica dell’intelligenza artificiale. Sviluppi, opportunità, sfide, Raffaello Cortina, Milano 2022.

[23] G. Riva, Nativi digitali. Crescere e apprendere nel mondo dei nuovi media, Il Mulino, Bologna 2019; F. Capaccio, Naufraghi virtuali. Chiesa e nativi digitali: quale comunicazione? Tau 2018; G. Bonanomi, Prontuario per genitori di nativi digitali. 100 domande e risposte su tecnologia e genitorialità, Ledizioni 2018.

[24] Vedi: E. Bissaca, M. Cerulo, C. M. Scarcelli, Giovani e social network. Emozioni, costruzione dell’identità, media digitali, Carocci, Roma 2021.

[25] Potrebbe essere utile: P. Piro, Insieme ma soli di Sherry Turkle, un libro chiave sul meccanismo dell’auto inganno, su: http://wwwdata.unibg.it/dati/bacheca/1030/58262.pdf e La vita sociale online degli adolescenti: molte connessioni e poche relazioni? Su: https://www.pedagogia.it/blog/2016/07/13/la-vita-sociale-online-degli-adolescenti-molte-connessioni-poche-relazioni/

[26] R. Keucheyan, I bisogni artificiali. Come uscire dal consumismo, Ombre Corte, Verona 2021, p. 156.

[27] M. Desmurget, Il cretino digitale Difendiamo i nostri figli dai veri pericoli del web, Rizzoli, Milano 2020, p. 7.

[28] Secondo l’ultimo Rapporto pubblicato dall’Organizzazione Internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico – Ocse, basato sui sondaggi condotti durante i test internazionali PISA – Programme for International Student Assessment, gli adolescenti passano sempre più tempo online, diventando spesso facili vittime di fakes o disinformazione. I dati appena resi noti parlano chiaro: si tratta in media di 35 ore a settimana, trascorse davanti ad uno schermo, collegati ad Internet. Il record spetta ai teenagers danesi, che di ore ne passano ben 47, seguiti da svedesi, cileni e nordamericani che ve ne spendono 40. Gli italiani sono nella media globale, con circa 35 ore online, con un aumento notevole rispetto al 2021, quando le ore erano 21 a settimana. In particolare, gli adolescenti italiani ogni giorno navigano in rete per 7 ore a scuola e per le restanti 28 da casa. Vedi: https://www.tecnicadellascuola.it/ocse-nuovo-rapporto-su-adolescenti-e-uso-corretto-della-rete

[29] «Nel campo della ricerca pedagogica sui media, non si può sostenere che le posizioni siano state omogenee, né lo si può dire nel campo delle esperienze educative concretamente realizzate. Piuttosto – e questo vale sia in senso sincronico che diacronico –, si rilevano concezioni educative molteplici, che fanno (e hanno fatto) differenziare la scelta degli elementi indispensabili per realizzare un approccio corretto al mondo dei media digitali, soprattutto in favore dei soggetti in crescita. Al solo scopo di far comprendere questo punto – ovvero: non esiste una sola educazione ai media, ma molteplici – riporto rapidamente qualche esempio. Se cominciamo con l’approccio cronologicamente più remoto (ma mai veramente abbandonato), ovvero quello protezionistico/inoculatorio, vi ritroviamo la precipua affermazione di un’educazione mediale capace di inculcare atteggiamenti critici così profondi, da indurre i giovani a diffidare dei media, considerandoli, tout court, falsi, depravati e deleteri per lo sviluppo intellettuale. L’approccio ispirato alla pedagogia marxista, invece, la cosiddetta critical media literacy, ha anch’esso insistito sullo sviluppo del senso critico, ma in una logica diversa, non moralistica, bensì più attenta al riconoscimento delle stereotipizzazioni e delle influenze di classe che i media veicolano, trasformandosi in strumenti di oppressione sociale. Al contrario, l’approccio “espressivista” ha visto i media come uno strumento che consente a chiunque di comunicare i propri vissuti e punti di vista in una molteplicità di linguaggi e, dunque, ha riletto l’educazione ai media come una possibilità di coltivazione della creatività e della libera espressione. Infine, l’approccio “alfabetico” ha guardato ai media soprattutto come a dei sistemi di significazione sociosemiotica, per i quali si rende necessario un intervento educativo capace di insegnare ai più giovani le abilità di comprensione degli elementi grammaticali, narrativi e comunicazionali interni ai messaggi, in modo da consentirne una piena decodifica ed, eventualmente, una successiva riproduzione». D. Felini, Competenza mediale e digitale. Analisi e riflessioni su un costrutto complesso, in: Annali online della Didattica e della Formazione Docente 13.21 (2021): 165-179, su: https://annali.unife.it/adfd/article/view/2331

[30] Si veda: G. Pezzano, Oltre la tecno-fobia/mania: prospettive di “tecno-realismo” a partire dall’antropologia filosofica." Etica & Politica 14.1 (2012): 125-173, su: https://iris.unito.it/bitstream/2318/1524172/1/PEZZANO-tecno.pdf

[31] Si vedano i più recenti: G. Coslin, Adolescenti da brivido. Problemi, devianze e incubi dei giovani d’oggi, Armando Editore, Roma 2023.

[32] Potrebbero essere utili: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/giovani-e-digitale-un-rapporto-di-timore-e-cautela-ecco-perche-la-ricerca/

[33] D. Selva, (2020). Divari digitali e disuguaglianze in Italia prima e durante il Covid-19. Culture e Studi del Sociale, 5(2), 463-483; http://elea.unisa.it/bitstream/handle/10556/4823/Selva%2C%20D.%20%282020%29.pdf?sequence=1

[34] «La dislocazione di spazi fisici e virtuali, la collaborazione in presenza e a distanza, l’utilizzo intelligente di tecnologie dovrebbero consentire di affrontare l’attuale emergenza in un’ottica non difensiva, ma attiva e creativa, non limitando le opportunità educative, ma amplificandole a dismisura. Flessibilità organizzativa e modello blended aiuteranno a non vedere i cambiamenti come una pura risposta al virus, ma come il futuro dell’istituzione educativa, capace di non fermarsi a mere regolamentazioni attuate nel nome della sicurezza, ma di rilanciare e trasformarsi, immaginando un nuovo modello organizzativo, nel nome dell’educazione e del successo formativo. Insomma, non si tratta semplicemente di amministrare una crisi, ma di trarre da essa quelle indicazioni che ci portano avanti, invece di difendere lo status quo». R. Franchini, Una crisi da non sprecare. L’educativo digitale prima, durante e dopo il Coronavirus1." (2020), p. 98, su: https://www.cnos-fap.it/sites/default/files/articoli_rassegna/franchini_2-2020.pdf

[35] «Il dualismo digitale, assai diffuso e fonte di distorsioni interpretative che rischiano di compromettere la comprensione dei fenomeni in atto, consiste nel pensare che la realtà autentica sia solo quella materiale, e che il ‘virtuale’ sia di per sé una forma di realtà impoverita, inautentica, che sottrae tempo ed energie alla realtà ‘vera’: un luogo di doppiezza, che ci estrania dalla vita reale, che favorisce la costruzione di identità fittizie, di relazioni superficiali e strumentali; una trappola che ci risucchia in forme di dipendenza alienante. Questa impostazione, costruita attorno ad una frattura e ad una contrapposizione forzata (che non considera, per esempio, che anche le relazioni faccia a faccia possono essere inautentiche), costituisce il maggior ostacolo alla comprensione del significato che la rete ha per i giovani oggi. Per loro, infatti, si tratta di una dimensione fondamentale per la manutenzione delle proprie relazioni e per l’allargamento delle proprie cerchie relazionali; di un’estensione smaterializzata, ma nondimeno reale, dei territori quotidiani di esperienza e di relazione». C. Giaccardi, Giovani, media digitali e sfide educative, in: V. Orlando (a cura di), Con Don Bosco educatori dei giovani del nostro tempo. Atti del Convegno Internazionale di Pedagogia Salesiana, Roma, 2015, p. 71. Consultabile su: https://spes.diocesiudine.it/wp-content/uploads/sites/7/Giovani-media-digitali-e-sfide-educative.pdf

[36] «Di particolare interesse è l’effetto di Internet sulla formazione dell’identità negli adolescenti, che devono ancora costruire una visione stabile di Sé. Gli adolescenti rappresentano un gruppo molto attivo e, una volta connessi, il loro utilizzo è multitasking; sfogliano pagine web, scaricano musica e visitano le chat room contemporaneamente. La loro esperienza online mostra come essi diano vita a uno “specchio” distintivo che produce un “io online” che si differenzia dall’“io offline”». M. G. Monaci – N. Cerisetti, La presentazione di una falsa identità nell’era digitale, in: Qwerty-Open and Interdisciplinary Journal of Technology, Culture and Education 16.1 (2021): 80-99, p.83 su:

[37] Vedi: M. Carlesso, Utilizzo dei media digitali in adolescenza: Una rassegna sui correlati e sulle strategie educative, consultabile: https://thesis.unipd.it/bitstream/20.500.12608/31151/1/Carlesso_Martina.pdf

[38] «Gli spazi digitali favoriscono forme di conformismo comportamentale, sia attraverso i tradizionali meccanismi di socializzazione sia a causa della loro struttura algoritmica che risulta intrinsecamente “omofila” perché facilita l’incontro con persone che hanno interessi simili o appartengono alla stessa rete di relazioni. La tendenza a racchiudere la navigazione degli utenti in spazi circoscritti sulla base di algoritmi che generalizzano induttivamente le informazioni raccolte attraverso le tracce lasciate in rete, il cosiddetto fenomeno della “Filter Bubble”, genera il rischio di un intrappolamento all’interno delle logiche del mercato digitale di cui i soggetti coinvolti non sono del tutto consapevoli». E. Gremigni, Competenze digitali e Media Education: potenzialità e limiti del piano Nazionale Scuola Digitale, in: Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione 2019.1 (2019): 1-21, p. 11, su: https://rtsa.eu/RTSA_1_2019_Gremigni.pdf

[39] Per un dibattito critico su questo tema: D. Dorling, Rallentare. La fine della grande accelerazione e perché è un bene; Cortina Raffaello, Milano 2021; J. Wajcman, La tirannia del tempo. L’accelerazione della vita nell’era del capitalismo digitale, Treccani, Roma 2020; J. R. McNeill – P. Engelke, La grande accelerazione. Una storia ambientale dell’Antropocene dopo il 1945, Einaudi, Torino 2018; H. Rosa, Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica nella tarda modernità, Einaudi, Torino 2015.

[40]Vedi: S. Achab, Riflessioni sulle conseguenze psichiche della reperibilità sempre e ovunque tra i giovani, su: https://ekkj.admin.ch/fileadmin/user_upload/ekkj/02pubblikationen/Berichte/i_2019_CFIG_Rapporto_Digitalizzazione.pdf#page=75

[41] Possono essere utili in questa direzione: M. Drusian, - C. Scarcelli, P. Magaudda,Vite interconnesse: pratiche digitali attraverso app, smartphone e piattaforme online, Meltemi, Milano 2019.

[42] F. Baroni – A. Greco – M. Lazzari, Utenti di Internet sempre più giovani: indagine sull’uso del digitale tra gli alunni della scuola primaria, in M. Lazzari - A. Ponzoni A., a cura di, Palcoscenici dell’essere, Bergamo: Sestante (2019): 229-240.

[43]    N. A. Buonaguro, Società della conoscenza e Pedagogia 3.0. in: Formazione & insegnamento 18.1 Tome II (2020): 691-699, p.693, su: file:///C:/Users/sekis/Downloads/admin-691-699+-+60+Buonaguro.pdf

[44] R. Casiraghi, L’uso problematico di internet e dei social network in adolescenza: un’indagine sulla solitudine e sulla flessibilità cognitiva come fattori di rischio e protezione, su: https://thesis.unipd.it/bitstream/20.500.12608/31174/1/Tesi%20Casiraghi%20Rosa%20.pdf

[45] M. FRANCISCA, Adolescenti e sexting. L’esperienza dello scambio digitale di materiale sessualmente esplicito, consultabile su: https://thesis.unipd.it/bitstream/20.500.12608/41911/1/Matilde_Francisca.pdf

[46] Si veda: A. La Spina-G. Frazzica (cur.), Giovani e legalità in tempo di pandemia, Centro Studi Pio La Torre, 2021, su: https://www.piolatorre.it/public/pdf-pubblicazioni/N_2-Giovani_e_legalita_in_tempo_di_pandemia_PDF.pdf

[47] K. Szadejko, et al. Impatto dell’astinenza da cellulare sull’ansia e sui bisogni psicologici dei giovani tra i 14 ei 18 anni. Ricerca quali-quantitativa “Challenge4Me”." (2022): https://www.igtoniolo.it/wp-content/uploads/2022/04/22_04_TP_Impatto-dell-astinenza-da-cellulare.pdf

[48] Non lavorano e non studiano, crescono le donne Neet: dati allarmanti a Caltanissetta e Palermo: https://gds.it/articoli/economia/2022/11/09/lavoro-cgil-record-donne-neet-in-sicilia-dati-allarmanti-a-caltanissetta-e-palermo-b12f2a26-9b97-4c07-b5f1-da2e09302062/

[49] G. Sciortino, Allarme droga a Palermo: troppi giovani, troppo crack, su: https://www.vita.it/it/article/2022/08/10/allarme-droga-a-palermo-troppi-giovani-troppo-crack/163763/

L’albergheria si ribella al crack, droga devastante, la drammatica testimonianza di un genitore: https://www.blogsicilia.it/palermo/albergheria-crack-droga-ribellione-dramma-testimonianza-genitore-talk-sicilia/795695/

[50] L. N. Tolstoj, Perché la gente si droga? E altri saggi su società, politica e religione, Mondadori, Milano 1988, p. 45.

[51] Cfr. M. Krauss – K. Rahner, La fatica di credere, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1989, p. 66.

[52] Forse sarebbe utile ripartire da: P. Goodman, La gioventù assurda, Einaudi, Torino 1997.

[53] R. Guardini, Le età della vita. Loro significato educativo e morale, Vita e Pensiero, Milano 1992, pp. 45-56.

[54] Ivi, p. 57.

[55] Forse la vita monastica può aiutarci a comprendere il senso profondo della stabilitas loci.

[56] Si può partire da: I. Illich, La perdita dei sensi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2009.

[57] «Anche se non sempre è facile accostare i giovani, si sono fatti progressi in due ambiti: la consapevolezza che tutta la comunità li evangelizza e li educa, e l’urgenza che essi abbiano un maggiore protagonismo. Si deve riconoscere che, nell’attuale contesto di crisi dell’impegno e dei legami comunitari, sono molti i giovani che offrono il loro aiuto solidale di fronte ai mali del mondo e intraprendono varie forme di militanza e di volontariato. Alcuni partecipano alla vita della Chiesa, danno vita a gruppi di servizio e a diverse iniziative missionarie nelle loro diocesi o in altri luoghi. Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!». Papa Francesco, Evangeli Gaudium, 106.

[58] D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia 1969, p. 115.

[59] Matteo 6,25-34.

[60] Matteo 6,19-20.

[61] S. Agostino, Confessioni, 1.

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